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Faccetta biancoceleste
Stefano Greco
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Lazio, neofascismo e nascita del movimento ultras nell’Italia degli anni di piombo
出版
LIT EDIZIONI
, 2015-10-08T00:00:00+02:00
主題
Sports & Recreation / Soccer
Sports & Recreation / History
ISBN
8867764330
9788867764334
URL
http://books.google.com.hk/books?id=-gQ4CwAAQBAJ&hl=&source=gbs_api
EBook
SAMPLE
註釋
“Sei laziale? Ah, quindi sei fascista”. Nessun punto interrogativo e nemmeno di sospensione, semmai un esclamativo alla fine di questa frase, che tanti tifosi laziali si sono sentiti ripetere, specie fuori Roma. Quasi che l’equazione fra quella fede calcistica e quell’appartenenza politica fosse scontata. Ma com’è nata questa associazione, e quanto c’è di vero nell’etichetta che rappresenta la Lazio come la squadra più fascista d’Italia? Stefano Greco lo racconta dall’interno, in questa storia di vita vissuta, scritta da chi ha potuto assistere da vicino alla nascita dei primi gruppi ultras in coincidenza con l’inizio degli Anni di Piombo. Anni in cui scegliere di indossare un certo tipo di giacca o guidare un certo modello di motorino poteva costare caro, in cui curva e piazza erano una la continuazione dell’altra, tifo e politica si mischiavano al punto da risultare indistinguibili, gli stadi erano luoghi di reclutamento per l’eversione rossa e nera e le curve erano frequentate da protagonisti della cronaca. Faccetta biancoceleste è sicuramente è sicuramente una storia romana e laziale, ma è anche una storia profondamente italiana, perché mai come in quel periodo Roma è stata l’Italia, e viceversa. È una storia che si snoda tra fumogeni, petardi e molotov, razzi e proiettili impazziti, e racconta le vite di uomini e di ragazzi che spesso erano attivisti politici durante la settimana e tifosi di curva la domenica: quasi sempre ultras, che anche da latitanti non rinunciavano allo stadio, rischiando di essere riconosciuti e arrestati. È una storia di braccia tese sugli spalti e di giocatori che sfidano un’intera curva mostrando il pugno chiuso. È una storia che racconta come eravamo, e che dimostra quanto poco, in fondo, gli stadi siano cambiati rispetto al mondo che li circonda.