In un convegno dedicato alle Soggettività un laboratorio sul
silenzio non poteva mancare: nel silenzio verso l’esterno si sviluppa infatti
la percezione di sé e il dialogo con se stessi, condizioni per il costituirsi
di quello spazio intimo denominato nella nostra cultura “interiorità”. Roland
Barthes racconta che gli accadde quando da giovane, affetto da tubercolosi,
trascorse dei periodi in sanatorio, dove per l’appunto era prescritta la cura
del silenzio: passare alcune ore della giornata, in solitudine, a riposo o
leggendo, senza parlare. Cura probabilmente ispirata alle regole monastiche,
che ritroviamo in forma mitigata anche nelle prime classi di scuola (almeno,
nei ricordi di chi scrive). Il silenzio, dunque, come forma più o meno radicale
di ritiro simbolico dal mondo, dalla sua chiacchiera e dal suo esserci, avrebbe
detto Heidegger: prove tecniche di meditazione sull’autenticità dell’essere
(Isabella Pezzini)