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Il genio dell'abbandono
註釋Il genio dellabbandono racconta la vita del più grande scultore italiano fra Otto e Novecento: Vincenzo Gemito. E lo fa mantenendosi in prodigioso equilibrio tra fedeltà al dato storico e radicale reinvenzione dello stesso. È il romanzo di unavventura eversiva e donchisciottesca, libro di vertiginosa solitudine e di teatrale coralità sullo sfondo di una Napoli vissuta come «un paese imprecisato che stava diventando la sua frontiera di malato», a contatto coi protagonisti della cultura del tempo, da Salvatore Di Giacomo a Raffaele Viviani e agli altri. Wanda Marasco prende le mosse dalla fuga dellartista dalla clinica psichiatrica in cui è ricoverato, e da lì ricostruisce la storia agitata di un «enne-enne», un figlio di nessuno abbandonato sulla ruota dellAnnunziata, il grande brefotrofio del meridione. Il marchio del reietto beffardamente impresso nel suo stesso nome che è il risultato di un errore di trascrizione lo accompagnerà per sempre, quasi come un segno di divinazione. Il suo apprendistato lo farà nei vicoli, al fianco di un altro futuro grande artista, il pittore Antonio Mancini, suo inseparabile amico che diventerà anche coscienza di Gemito, suo complice totale e infine suo nemico o, meglio: quellintimo nemico di se stessi che si preferisce trasferire nellaltro. Vedremo così «Vicienzo» entrare nelle botteghe in cerca di maestri, avido di imparare. Lo seguiremo a Parigi, tra stenti da bohème e sogni di celebrità, e lo ritroveremo a Napoli, artista ambito da mercanti e da re, e pur sempre incalzato da quel «genio dellabbandono», che, potente metafora dellorfanità dellarte, lo spinge a grandi imprese e lo precipita nel baratro dei fallimenti. Vivremo il suo folle amore per la modella Mathilde Duffaud, che ne segna la vita come un sistema dellerotismo e del dolore, un impasto di eccessi e delusioni che sfociano in una follia tutta «napoletana»: intelligenza alla berlina, incandescenza e passioni spesso arrese a un destino malato di cui il «vuoto» di Napoli voracemente si nutre. Scritto in una lingua vigorosa e raffinatissima che con movimento naturale vira verso il registro dialettale, Il genio dellabbandono è sostenuto, come ha scritto Cesare Segre, da uno slancio drammatico che conferisce ai personaggi «uno stacco e un dinamismo straordinari». Portatore di un dolore immedicabile e insieme di una furia sconfinata, «Vicienzo» simporrà al lettore con la forza dei personaggi indimenticabili, «pazzo in latitudine e longitudine» e «col carattere di una putenta frèva»: la febbre del genio che combatte la sua battaglia solitaria con la storia e la società per affermare identità e passione. «Vicie, e chi se ne fotte del sangue delle origini? Cazzate. E vedi il caso tuo. Non hai avuto padre e madre naturali, ma una forza del fato. Per te cè stato un genio, il genio dellabbandono, Vicie. Perché se non ti abbandonavano tu forse non saresti mai diventato Gemito, il grande scultore Vincenzo Gemito!» «Seguo da anni il lavoro letterario di Wanda Marasco, perché ne colgo lalto livello. Al di sopra delle differenze tra gli scritti, sia inediti sia editi, a mia conoscenza, colgo nel romanzo Il genio dellabbandono almeno due tratti decisivi. Il primo è la raffinatezza della scrittura, che occupa tutte le gradazioni dei registri linguistici Il secondo tratto è lo slancio drammatico portato entro la narrazione, dà ai personaggi uno stacco e un dinamismo straordinari». Cesare Segre