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La nevrosi tra medicina e letteratura
註釋Dagli anni del trionfo del pensiero positivista agli esordi del Novecento, le patologie nevrotiche pervadono la narrativa italiana, investendo le opere di Tarchetti, Verga, D'Annunzio, Fogazzaro, De Roberto, Pirandello, Tozzi, Borgese e tanti altri, fuoriuscendo dai campi specialistici della scienza sperimentale nei quali, peraltro, diventano un oggetto di studio privilegiato. Di fronte alla natura sfuggevole della nuova categoria nosografica delle nevrosi, oscillanti tra ragione e follia, e sulla scia del darwinismo imperante, gli scienziati rimandano le svariate forme morbose della nebulosa nevrotica alla degenerazione dei popoli 'civilizzati'. Il dialogo, continuo e fecondo, tra scienza e letteratura, apre il cammino a una medicalizzazione della narrativa e, contemporaneamente, a una "letterarizzazione" dei discorsi medici. La validità dell'approccio storico (anamnestico), soggettivo e simbolico-analogico, nonché sociologico, alle nevrosi, s'impone gradualmente, in concorrenza con i postulati irrinunciabili della scienza positivista. Dalla rivalità, - sottintesa o esibita -, tra uomini di scienza e letterati, nasce un'eccezionale fioritura di casi clinici, talora assai perturbanti, di cui il presente libro propone una tassonomia. La malattia non colpisce soltanto determinati individui, bensì assurge alla dimensione di flagello collettivo, sindrome della crisi storica del "secolo nevrotico", come ebbe a definirlo Paolo Mantegazza. Non di rado le felici intuizioni degli scrittori superano le rubricazioni della letteratura scientifica, succuba dello scientismo materialista, e abbozzano il ritratto di personalità complesse, ora recisamente patologiche, ora spaventosamente banali, spesso anacronisticamente freudiane. L'opera ad quem della presente ricognizione, è appunto La coscienza di Zeno, poiché con questo romanzo Svevo inaugura un nuovo capitolo delle nevrosi letterarie, ispirato ormai alle nuove teorie psicoanalitiche.