Giuseppe Tallarita aveva 66 anni
e un amore smisurato per la sua
famiglia: la moglie, i figli, gli adorati
nipoti. Abitava a Butera, un
piccolo centro in provincia di Caltanissetta.
Fece enormi sacrifici
e investì parecchie risorse in un
podere nelle vicine campagne;
al centro dominava una casa che
divenne il luogo in cui custodire
i momenti e gli affetti più cari.
Coltivava un sogno che cresceva
di anno in anno, come i suoi ulivi:
godersi serenamente la vecchiaia
in quel piccolo angolo di quiete
vicino al mare e vedere i suoi nipoti
crescere. Un sogno spezzato
da mani crudeli e criminali. Venne
trovato morto il 28 settembre
1990 di fronte alla sua tenuta.
Lo uccisero due killer agli ordini
di un boss della “Stidda”; il mandante
dell’omicidio era l’allora
pastore che qualche anno prima
si vide rifiutare il transito abusivo
del gregge. Quel rifiuto, a distanza
di anni, fu pagato con la vita. Un
uomo semplice e giusto, ucciso
per non aver ceduto alla prepotenza,
assassinato per aver saputo
dire “No” alla sopraffazione