Cos’è il quid che più del resto dà sostanza letteraria e un’aria “di famiglia” ai racconti di Spiragli? Un pizzico di Tabucchi? Una manciata di Saramago? Un briciolo di Biamonti? C’è questo e molto altro nella sapiente miscela che anima il libro di Càlzia. Che descrive e racconta di microcosmi perduti in un vortice visionario, impregnato di saudade, onirico quanto basta per disorientare il lettore prima di portarlo all’incontro, sorprendente, con i suoi caratteristici finali sempreaperti. Viaggiando di racconto in racconto, l’impressione è quella di muoversi in cerchi che sembrano chiudersi per riaprirsi subito dopo - come una ferita - a un dolore curvilineo, che rincorre la trama dell'infinito.