Il discorso sui libri
di cucina è oggi sottoposto a un doppio, sgradevole ricatto. Il primo
riguarda le pressioni derivanti dal loro
successo editoriale, che ne fanno, più che un oggetto culturale con evidente
spessore antropologico, una merce come un’altra per riempire gli scaffali delle
librerie e attirarvi, speranzosi, quel che resta degli amanti della carta
stampata. Il secondo ha a che vedere con le costrizioni relative al loro dissolvimento
nei media d’ogni tipo, e in particolar modo in internet, dove la forma
tradizionale, per esempio, della ricetta, fissata in un supporto cartaceo e con
un testo scritto, tende a dissolversi, a trasformarsi e forse a perdere di
significato in funzione degli apporti provenienti dalla dimensione dell’immagine,
dell’audiovisivo e, infine, dell’interattività. Da un parte nascono a
profusione ricettari d’ogni ordine e grado, misura e natura, sino ad annullarsi
a vicenda. Dall’altra se ne decreta nei fatti l’inutilità, se non la scomparsa,
a tutto vantaggio d’altre forme testuali che si sono assunte l’arduo – e
intramontabile – compito d’insegnare a cucinare.