Romanzo inedito in Italia, La Vignaccia di Marie Hay (1873-1938) è la traduzione della storia, scritta quasi un secolo fa, di una giovane donna irrisa fin da bambina per la sua passione per la lettura, disdicevole ai tempi in cui le donne dovevano nascondere di avere un cervello. Non trovando nelle occasioni mondane un uomo all’altezza delle proprie curiosità culturali, è talmente sedotta dal fascino dell’intellettualità da rinunciare alla propria parte istintuale, e quindi ai propri sentimenti più profondi e, bella ventenne, sposa un archeologo di buon livello sociale ma di quasi trent’anni più vecchio di lei.
Passata la foga del desiderio sessuale di lui per il giovane corpo di lei, il marito la segrega in una casa tenebrosa sulle rive del Lago Maggiore, in Svizzera, in una casa infestata da scuri e cupi ricordi di tragedie sanguinose e sanguinarie svoltevisi tre secoli prima. L’uomo viene catturato dallo spiritus loci, dallo spirito del luogo, e la donna ne è terrorizzata fino ai limiti della paranoia.
Popolato da fantasmi che tormentano l’animo di lei e la mente di lui, il racconto non diventa mai gotico nell’accezione corrente: non ci sono spettri. Sul filo della sottile lama tra reale e irreale, mai scade nell’incredibile. Piuttosto si addentra tra le ombre devastanti di una coppia caduta preda di valori non sentiti. Con intuizione psicologica, sapiente impianto narrativo e scorrevoli descrizioni di stati d’animo, Marie Hay conduce il lettore nel carcere della povera protagonista della vicenda e nel labirinto della mente disturbata del marito.
Il finale è mozzafiato, come in un giallo; ma a differenza dei soliti gialli, non sfida il lettore alla scoperta di un assassino, bensì lo costringe a meditare su inquietanti dinamiche della psiche che si fanno beffa dei tentativi umani di dominare le forze inconsce. Non a caso La Vignaccia è stata oggetto di saggi da parte di studiosi di psicanalisi.