Il termine cultus (da colere: coltivare) è stato attribuito, nel corso della storia, in modo privilegiato a colui che coltivava la perfezione, la virtù, raggiungibili nell’otium, cioè nel distacco dalle preoccupazioni. Questa concezione ha determinato, per lungo tempo, una contrapposizione fra uomo ‘libero’ e uomo del popolo; gli studi e le arti liberali da una parte e l’oralità e la “cultura degli analfabeti” dall’altra.
Anche il mondo popolare e contadino ha tuttavia elaborato una sua cultura con i suoi luoghi, le sue certezze, i suoi modi espressivi ed educativi. Le fiabe popolari, i canti, i proverbi, le filastrocche,
il modo espressivo (il dialetto), la concezione provvidenziale e fatale delle vicende umane fanno parte di una cultura popolare e contadina, ormai scomparsa o fortemente in mutamento, qualche volta celebrata e rivissuta nel ricordo nostalgico e folcloristico.