Quando è stato pubblicato per la prima
volta, questo libro cercava di indagare in che misura le contrapposte letture
dei testi di Thomas Hobbes fossero determinate dalle scelte metodologiche e
culturali degli interpreti e in che misura, invece, vi concorresse lo stesso
Hobbes con le proprie ambiguità. L’analisi toccava alcuni temi fondamentali
dell’antropologia e della politica hobbesiana. Rilevava che nelle pagine di
Hobbes vive una umanità inquieta tra paure, conquiste e ambivalenze. Scorgeva,
comunque, nel mitico Leviatano, accanto ad una struttura monolitica, anche
forme più articolate, perfino suscettibili di alcuni gradi di partecipazione.
Constatando nel
filosofo inglese una certa “logica dei doppi pensieri”, questo studio vuole
ancora oggi documentare quanto siano inadeguate le valutazioni elaborate sulla
base di letture parziali o di impostazioni unilaterali. Il vero Hobbes è ricco
di motivi ed elementi contraddittori e sfugge a qualsiasi interpretazione
univoca e rettilinea. Esso è talmente fecondo di suggestioni da dimostrarsi
utile anche per scrivere una pagina della storia della filosofia dello sport.
L’interrogativo “Quale Hobbes?”, dunque, è destinato a
durare e a porsi continuamente come un problema irrisolto, costituendo in tal
modo il fascino più vero per i suoi lettori ed interpreti.