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Si ammazza troppo poco
註釋Gianni Oliva prosegue la sua rivisitazione delle pagine dimenticate della storia nazionale affrontando il tema dell'Italia imperiale (1940-43) e quello, ancora oggi poco noto, dei 1857 ufficiali e soldati di cui fu chiesta l'estradizione per crimini di guerra. Dall'analisi di queste vicende, grazie anche a molti documenti inediti provenienti dagli archivi dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'esercito, emergono le strategie di controguerriglia stabilite dai comandi, le atrocità inferte e quelle patite, ma, soprattutto, affiorano le ragioni che hanno determinato sessant'anni di oblio creando lo stereotipo degli "italiani brava gente". Le conclusioni cui giunge l'autore sono sorprendenti. Nell'immediato dopoguerra, l'Italia si autorappresenta come nazione vincitrice e in quanto tale non può accettare che i propri combattenti siano processati da altri paesi, perché da sempre solo i vinti devono rispondere dei crimini commessi. Quando giungono le richieste di estradizione da parte dei governi di Belgrado, Tirana, Atene, il nostro ambasciatore a Mosca Pietro Quaroni suggerisce la linea da adottare: "Non chiediamo l'estradizione in Italia dei criminali di guerra tedeschi, perché altrimenti saremo costretti a concedere l'estradizione dei nostri". È il baratto delle colpe, consumato sull'altare della "ragion di Stato", che spiega troppi anni di silenzio e di rimozioni: le colpe naziste diventano fascicoli archiviati e volutamente dimenticati nell' "armadio della vergogna" (scoperto nel 1994 negli scantinati della Procura militare di Roma); le colpe italiane vengono occultate in un silenzio che quasi nessuno in questi anni ha sentito il dovere di rompere. Con questo libro Gianni Oliva apre un capitolo nuovo su quei "conti con il passato" che nel nostro paese sono ancora ben lontani dall'essere chiusi